giovedì 30 maggio 2013

Meglio non sapere?

161.829 tra morti e feriti a Catania e 136.000 senza tetto.
Praticamente tutta la città sarebbe cancellata d’un colpo se si dovesse ripetere un terremoto della stessa intensità di quello del 1693.
E’ quanto emerge dall’inchiesta di Fabrizio Gatti, Un paese sull’orlo del sisma. Un anno dopo le scosse in Emilia, dossier choc sul rischio di terremoti, pubblicata su L’Espresso del 25.5.2013.
In cosa consiste la novità? Per la prima volta si getta uno sguardo sulla Banca dati realizzata dal Servizio sismico nazionale, utilizzando un criterio nuovo.
In essa, infatti, i parametri di progettazione antisismica non sono definiti solo sulla base di un mero calcolo probabilistico, che tiene conto cioè solo della frequenza statistica dei terremoti, ma sono calibrati sull’intensità massima dei terremoti già avvenuti nel passato e sono correlati con il patrimonio edilizio e la situazione urbanistica attualmente esistente.
In tal modo la qualità delle costruzioni diventa una variabile decisiva assieme alla densità abitativa, alla vulnerabilità degli edifici in base all’anno di costruzione e al materiale utilizzato, all’altezza dei palazzi e alla distanza fra di loro.
Esiste dunque una scheda per ogni comune con tutte le previsioni necessarie per valutare gli effetti di un terremoto: numero di crolli, case inagibili, abitazioni danneggiate, percentuale di crolli sul totale, ecc.
Ciò spiega le drammatiche previsioni che riguardano Catania: sommando assieme l’edilizia povera di molti quartieri della periferia storica, gli esiti criminali della speculazione edilizia degli anni ’60 e l’imperversare dell’abusivismo delle nuove periferie, non si può non arrivare a quelle conclusioni. E non parliamo della situazione di molti edifici pubblici e di molte scuole in particolare.
La mappa di pericolosità attualmente adottata invece dalla Protezione civile, e quindi dai Comuni, è risultata in effetti inattendibile già diverse volte perché basata su un approccio probabilistico, cioè sulla probabilità più o meno alta che un terremoto si ripeta nel tempo.
L’Emilia, secondo la mappa, era classificata come zona a bassa pericolosità e a un terremoto di 6.2 era stato assegnato un tasso di probabilità ogni 700 anni; ma questa è solo una probabilità perché in effetti l’evento si può verificare in qualsiasi momento. Lo stesso inconveniente si era verificato con il terremoto in Irpinia del 1980.
La stessa Protezione civile sembra sottostimare il rischio e sembra abbastanza diffusa l’inconsapevolezza dei politici, dei funzionari addetti alle eventuali emergenze e delle popolazioni.
Eppure si calcola che tra il 1968 e il 2009 la gestione dell’emergenza e la ricostruzione sia costata 135 miliardi di euro, l’80 % dei quali sono stati destinati solo agli esiti delle calamità (risarcimenti, ricostruzioni) mentre non è mai stata avviata una seria politica di messa in sicurezza del territorio.
Molti paesi non hanno un Piano comunale di protezione civile per le emergenze e quelli che ce l’hanno non lo hanno mai fatto conoscere ai cittadini e meno ancora lo hanno mai sperimentato con esercitazioni serie, per cui in caso di emergenza, i cittadini non saprebbero dove raccogliersi e i soccorritori dove portare i feriti.
Per essere più concreti basta fare riferimento alla simulazione di una scossa di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale. Essa produrrebbe 11000 morti e 15000 feriti, mentre la stessa scossa in Giappone produrrebbe solo 50 morti e 250 feriti. La differenza è dovuta alle tecniche di costruzione e agli investimenti nella prevenzione.
Oltre che sperare nello stellone (ma fino a quando?) non sarebbe il caso che i nuovi amministratori mettessero all’ordine del giorno la questione?
Da http://www.argocatania.org

martedì 28 maggio 2013

Priorato di San Giacomo

«Prioratus sancti Iacobi de nemore», così lo troviamo indicato per la prima volta in un prezioso volume del 1372 - 1392, conservato nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Catania. Il primo documento in cui si parla del Priorato è datato 27 febbraio 1387. In quella data Simone del Pozzo, Vescovo di Catania, concede ai monaci di San Giacomo del Bosco di poter fondare una "grangia" in contradadelli muri antiqui, dietro il monte Serra di Viagrande. Il Priorato esisteva quindi già nel 1387, e se lo si vuole ritenere coevo agli altri numerosissimi monasteri benedettini sorti alle falde dell'Etna nel Medioevo, si può azzardare l'ipotesi che la sua costruzione risalga al secolo XII. Da una bolla papale firmata da Eugenio IV nel 1443 si apprende che l'annessa chiesa di S. Giacomo era sacramentale e parrocchiale, il che fa presumere che fosse frequentata da un primo nucleo di abitanti sorto attorno al monastero. Sempre dalla bolla papale si ricava che detta chiesa conservava le reliquie di S. Giacomo e che ogni anno, il 25 luglio, il Priorato si popolava di pellegrini provenienti da tutta la Sicilia per la festa del Santo. La vita comunitaria del Priorato finì nel 1464, quando il vescovo Guglielmo lo annesse alla dignità di Decanato del Capitolo della Cattedrale, riducendolo di fatto a puro beneficio. Rimarrà però aperta al culto la chiesa di S. Giacomo, almeno fino al 1677. Molto probabilmente la chiesa andò distrutta nel terribile terremoto del 1693. Il Priorato si trovava con certezza collocato all'interno della svasatura della valle non a caso denominata "San Giacomo", a monte di Zafferana. Sui ruderi del monastero e della chiesa sorse una villa padronale di proprietà privata, tutt'oggi esistente. 
Da "Il Priorato di S. Giacomo e Zafferana Etnea" di G. Pistorio.

domenica 26 maggio 2013

Da Pianobello a Piano dell'Acqua

L'Ilice di Carrinu è senz'altro uno fra gli alberi più affascinanti dell'Etna. Si tratta di un magnifico leccio con i rami talmente lunghi da renderlo l'albero più grande del mondo per estensione. A differenza di altri giganti secolari etnei, si trova inoltre immerso in un ambiente naturale incontaminato il che ne esalta il fascino. Il sentiero che vi proponiamo oggi congiunge due fra le più belle vallate dell'Etna (Pianobello e Piano dell'Acqua) e incontra, a metà percorso, l'ilice.

http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Pianobello_Piano_dell_Acqua

martedì 21 maggio 2013

Monte Grosso

Sul sentiero per monte Gemmellaro si ritrova monte Grosso. Se avete programmata una serena passeggiata familiare lontano dai luoghi affollati dai gitanti delle domenica, nella tranquillità di una fresca pineta, col confort di un'area attrezzata e percorrendo un sentiero che non pone nessuna difficoltà neanche al più pigro della famiglia, il posto ideale è senz'altro monte Grosso.




domenica 19 maggio 2013

Monte Gemmellaro

"Nel partire di re Martino con tutte queste genti dalla città di Trapani, si mosse un terribile terremoto in Mongibello, d'onde poi usci tanta quantità di foco...".

Questo è l'incipit del racconto di Federico de Roberto della terribile eruzione del 1886 che diede vita a monte Gemmellaro. Il percorso che conduce al monte, nell'attraversare innumerevoli colate laviche, è una specie di libro della storia geologica dell'Etna. Gli enormi canaloni che si dipartano dal Gemmellaro danno ancora oggi un'idea della fenomenale potenza dell'eruzione del 1886.

Sentieri:

sabato 18 maggio 2013

Fra storia, leggenda e mistero. Le chiese antiche.


Il terremoto dell’11 gennaio del 1693 viene ricordato come il più immane evento sismico mai registrato in Italia in periodo storico. Provocò la distruzione di oltre 45 centri abitati e la morte di più di 60.000 persone. Pochissime furono, in territorio etneo, le chiese che resistettero al sisma e quasi tutte riportarono seri danni.
Fra queste, prima per vetustà e fascino, la piccola basilica di San Giovanni, bagnata dal ruscello Catalfaro nei pressi di Palagonia. Si tratterebbe di un edificio risalente al periodo bizantino intorno al V secolo. Oggi restano a testimonianza alcune arcate e dei pilastri. Meglio conservata la cuba di Castiglione dedicata a Santa Domenica, sorse probabilmente tra il 775 ed i primi anni dell’800, dopo la morte dell’imperatore Costantino V figlio dell’imperatore Leone III° detto l’Isaurico. Un’altra Cuba, più piccola e dalla struttura più tozza, ma non per questo meno interessante, è quella di Malvagna anch’essa edificata, molto probabilmente, intorno al VII secolo. Sempre in epoca bizantina fu costruita la cuba di Santo Stefano a Dagala, frazione di Santa Venerina, oggi soffocata e nascosta dall’edera che rischia di compromettere definitivamente la stabilità dell’edificio. Ma, per mistero e fascino, meritano una citazione particolare i resti dell’abbazia del SS. Salvatore della Placa detta Badiazza. Nel 1092 il conte Ruggero D’Altavilla, trovandosi a transitare per i boschi della Placa, incontrò l’Anacoreta Cremete. Affascinato dalla figura dell’eremita ordinò che venisse costruito un monastero basiliano e affidò la direzione proprio a Cremete che ne divenne il primo abate.


Link sei siti:


mercoledì 15 maggio 2013

L'Unesco e l'Etna: e ora?

Fra circa un mese, nella lontanissima Phnom Penh in Cambogia, anche l’Etna entrerà a far parte della lista dei siti naturalistici considerati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. La notorietà, l’importanza scientifica e i valori culturali ed educativi del sito sono le principali motivazioni che sono state riconosciute come portatrici di significati di rilevanza globale.
Non sarà tutta l’area dell’attuale Parco a rientrare in questo riconoscimento ma solo la zona A, cioè l’area sommitale del vulcano, circa 20mila ettari sui 59mila complessivi. Ma già il primo problema da risolvere sarà l’accesso a questa zona, dato che a tutt’oggi esiste un divieto per motivi di sicurezza.
E adesso cambierà qualcosa nella gestione di questo immenso ed eccezionale patrimonio? Riuscirà l’Ente Parco, istituito nel 1987 e a cui continuerà ad essere affidata la gestione, ad avere una presenza diversa da quella burocratica e imbalsamatrice che ha esercitato finora?
Rientrare nella lista Unesco non significa infatti appendersi solo una medaglietta al petto e buonanotte ma potrebbe aprire alla possibilità di attingere a nuovi finanziamenti anche da parte dell’Onu, dell’Unione europea e ministeriali.
Questi però non arriveranno a pioggia ma solo a fronte della capacità di presentare progetti seri nel campo della conservazione del bene e della sua fruizione e in quello dell’educazione ambientale.
Per poter usufruire dei finanziamenti previsti occorre infatti redigere un ‘piano di gestione’ con cui vengono definite “le priorità di intervento e le relative modalità attuative, nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie, (…) oltre che le opportune forme di collegamento con programmi o strumenti normativi che perseguano finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i piani relativi alle aree protette.”
Recita così l’art. 3 della legge 20 febbraio 2006 n.77, Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella «lista del patrimonio mondiale», posti sotto la tutela dell’UNESCO.
Certo, la situazione di partenza è pochissimo allegra. Cosa ci si può aspettare infatti da un Ente politicamente lottizzato che esce da un lungo periodo di commissariamento, che brucia tre quarti delle sue risorse per le spese di personale e di gestione, che non ha un suo corpo di guarda parchi, che non riesce a coordinare il problema della gestione dei rifiuti, che è stato capace di piantare un esagerato numero di cartelli superflui tranne quelli utili per il turista -come quelli della sentieristica-, con un sito internet nel quale le notizie che interessano gli appassionati della montagna bisogna cercarle con il lumicino e dal quale non risulta neanche l’esistenza di un organismo scientifico -sia pure di consulenza-, che possiede sul suo territorio, ma non riesce a gestire, una notevole quantità di immobili utili per l’escursionismo?
Con questo ulteriore riconoscimento, comunque, Catania sarà probabilmente una delle province a più alta concentrazione di riconoscimenti Unesco del mondo.
Sembra incredibile, ma è così perché vi è già inserita in quanto parte del distretto delle città del Barocco, riconoscimento ottenuto nel 2002, ma anche perché una delle sedi storiche dell’Opera dei pupi (inserita nella lista dei beni immateriali nel 2008) e perché rientra fra le regioni in cui si coltiva la tradizione della Dieta mediterranea (inserita nella stessa lista nel 2010). Probabilmente neppure molti catanesi ne sono informati.
Ma è anche tutta la Sicilia centro-orientale ad essere ampiamente rappresentata fra i beni Unesco. Ne fanno anche parte infatti anche la Valle dei templi di Agrigento e la Villa del Casale di Piazza Armerina (fin dal 1997), le isole Eolie (dal 2000) Siracusa e Pantalica (dal 2005).
Questa profluvie di riconoscimenti, però, ha modificato in noi siciliani la considerazione che dovremmo avere per tutta questa ricchezza; ha, in qualche modo, influito sulla loro appropriata valorizzazione turistica? Senza voler essere criticoni a tutti i costi, non ci sembra.
A Catania è stata distrutta anche l’unica targa, nei pressi di piazza Duomo, che informava del riconoscimento ottenuto e, a nostra memoria, nessun Ente pubblico, in questi undici anni, ha mai avviato una seria politica di progettazione e di promozione dell’immagine della città, come strumento per ricavare tutti i possibili vantaggi che potrebbero derivare dai riconoscimenti ottenuti.
Esiste anche una Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO che ha come scopo “la programmazione, il coordinamento e la realizzazione di attività dirette alla protezione e alla valorizzazione del patrimonio culturale e naturale rappresentato dai beni UNESCO”, ma, fra i comuni siciliani, risultano farne parte solo quelli di Lipari, Noto, Piazza Armerina, Palazzolo Acreide, Sortino e Siracusa.
Il Comune e la Provincia di Catania si sono guardati bene dall’aderirvi. Non ne hanno bisogno. Sono capacissimi di non fare niente di buono da soli, loro.
Da http://www.argocatania.org/
Ecco il document dell'Unesco:
http://www.etnanatura.it/documenti/download/liberi/Unesco/Unesco_Etna.pdf

lunedì 13 maggio 2013

Monte Nero

Monte Nero nacque a seguito dell’eruzione del 1646. Nel 1923, alla base del monte, si formò un’impressionante bottoniera di crateri da cui si può accedere (ma solo se si è esperti speleologi)  all’Abisso di Monte Nero: il più grande sistema eruttivo in frattura rimasto sull’Etna ed uno dei meglio conservati. Circumnavigando il monte si ritrovano la grotta di Monte Nero e la grotta delle femmine di monte Nero (da non confondere con la più nota omonima che si trova più a nord). Si arriva quindi al rifugio Timparossa da cui si può ritornare indietro seguendo un nuovo percorso che lascia il monte sulla sinistra.
Indicazione sentieri:


martedì 7 maggio 2013

Cavasecca

Nella valle San Giacomo a Zafferana un itinerario minore, ma solo per la difficoltà minima, è quello che porta alle sorgenti di Cavasecca. Siamo in località Piano dell'Acqua e, quindi, non dobbiamo meravigliarci della presenza di una sorgente ferrosa che alimenta un ruscelletto. Alle spalle il ripido pendio di Cugnu di Mezzo dove s'inerpica la Scalazza. Maggiori informazioni sul sentiero Cavasecca su www.etnanatura.it.

sabato 4 maggio 2013

Fra storia, leggenda e mistero. Prima parte.


Con questo post iniziamo un viaggio nella storia dei popoli dell’Etna proponendovi dei siti sconosciuti ai più e che meritano una visita per il fascino e il mistero che racchiudono oltre che per le bellezze naturalistiche. Non si tratta di un percorso organico e risente molto di scelte personali e, spesso, arbitrarie di chi scrive.

Per il clima mite, la terra fertile, il mare pescoso i territori dell’Etna sono stati abitati fin dalla preistoria e di questi insediamenti restano numerose testimonianze.

Molte grotte si sono rilevate giacimenti di reperti di incommensurabile valore storico-etnico:

  1. Le grotte Petralia (dove gli archeologi hanno rinvenuto numerosi frammenti ceramici dell’età del Bronzo, utensili di selce, ossa di grossi mammiferi, vasi, sepolture con scheletri umani, recinti realizzati con sassi opportunamente disposti sul pavimento della grotta, entro i quali probabilmente l’uomo preistorico vi svolgeva riti d’iniziazione) e dei Roditori a Catania
  2. La grotta delle Femmine (dove sono stati rinvenuti frammenti ceramici attribuibili alla cultura di Castelluccio) a Castiglione in contrada Germaniera.

L’area archeologica Metapiccola ci riporta all’età del ferro e rappresenta la prima fase d’insediamento dell’area di Leontinoi.

Rocchicella dove nacque il mito siculo dei fratelli Palici, poi assorbito dalla cultura greca.

Le Grottitte di contrada Orgale che assomigliano alle grotte di Pantalica e dove è si ritrova un misterioso megalite di forma fallica.


Riepilogo dei siti:

  1. Grotta Petralia: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Grotta_Petralia
  2. Grotta dei Roditori: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Grotta_dei_roditori
  3. Grotta delle Femmine: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Grotta_delle_femmine
  4. Metapiccola: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Metapiccola
  5. Rocchicella: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Rocchicella
  6. Le Grottitte: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Grotticelle_di_Orgale
  7. Orgale: http://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Orgale
Segue.